VINCENZO AGNETTI – AUTORITRATTI RITRATTI SCRIVERE – ENRICO CASTELLANI PIERO MANZONI
Dal 23 ottobre 2019 al 18 gennaio 2020
con performances di Italo Zuffi
a cura di Giovanni Iovane
Un progetto di BUILDING Gallery che si estende negli spazi del Museo di Sant’Eustorgio
Il percorso delle tre opere di Vincenzo Agnetti (Milano, 1926-1981) esposte negli spazi della Cappella Portinari e del Cimitero Paleocristiano, conferma come la dimensione religiosa e il rapporto con la grande tradizione figurativa trovi in tanti artisti moderni forme sorprendenti per riemergere. Vincenzo Agnetti è stato un artista silenzioso, il cui lavoro è contrassegnato da una straordinaria determinazione intellettuale e insieme da un’acuta inquietudine. La speculazione logica che sottostà a tante sue opere fa sempre i conti con “un fondo esistenziale, uno spessore di vissuto che agisce come attrito, come resistenza che dà senso all’atto” (Alberto Mugnaini).
Il percorso espositivo inizia nella Sala Capitolare dove sono esposti i Quattro evangelisti, opera di Agnetti del 1970. Si tratta di affreschi antichi (il titolo originale è XIV-XX secolo), con i simboli degli autori dei Vangeli, sui quali Agnetti ha applicato altrettante parole in una sequenza libera. Si tratta di parole che sembrano invitare chi guarda ad allacciare una relazione concreta con i testi simboleggiati: “Pensa”, per Matteo; “Usa”, per Marco; “Prendi” per Giovanni e “Pesa” per Luca.
Alla base dell’arte di Agnetti c’è sempre il linguaggio, materia prima che lui sottopone a processi inediti e trasfigura in esperienza visiva, teso a cercare “il seme nascosto di una lingua più alta” (Walter Benjamin).
È un’esperienza che il visitatore stesso può rinnovare davanti a Ritratto di Dio (1970) esposto nello spazio antistante alla Cappella Portinari. Si tratta di un’opera che fa parte della serie dei feltri, il supporto sui quali Agnetti incideva le sue scritte: in questo caso il feltro è bianco e la scritta è incisa in argento. Siamo di fronte ad una sorta di icona, il cui contenuto di immagine è dato dalle parole ricavate dall’Apocalisse (Ap. 22,12): nella stagione della “fine di Dio” Agnetti, con gesto semplice e senza manipolazioni soggettive, ne suggerisce invece la “dicibilità”. La scelta del bianco e dell’argento evocano inoltre al nostro sguardo, con molta sobrietà, l’accento di tante rappresentazioni del Pantocratore.
Il percorso si conclude nel Cimitero Paleocristiano. Qui, nell’ultimo ambiente il visitatore incontra Apocalisse (1974), una scultura-installazione che fa parte del filone di opere La macchina drogata e i suoi prodotti. Su una lastra di perspex è incisa una sequenza di parole generate casualmente da una calcolatrice Olivetti modificata da Agnetti, che aveva inserito lettere sui tasti dei numeri. Le parole compaiono come schegge proiettate da un luogo ignoto, quasi evocando la voce di tuono di cui parla il versetto dell’Apocalisse (Ap. 6,1) che completa l’installazione.
Giuseppe Frangi
Curatore di Casa Testori
Il catalogo, edito da BUILDING, comprenderà testi, fra gli altri, di Giovanni Iovane, curatore della mostra, Marco Meneguzzo, Gaspare Luigi Marcone, Rosalia Pasqualino di Marineo, Federico Sardella, Marco Senaldi e un’intervista inedita di Tommaso Trini all’artista, risalente agli anni Settanta.
La mostra è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Vincenzo Agnetti, la Fondazione Enrico Castellani, la Fondazione Piero Manzoni e con il supporto della galleria Osart, della Collezione La Gaia e di collezioni private.