Dantedì
25 marzo 2020
Il 25 marzo 2020 si celebra per la prima volta il Dantedì, la giornata dedicata a Dante Alighieri istituita dal Governo. Il 25 marzo è infatti la data in cui, secondo gli studiosi, Dante diede inizio al viaggio ultraterreno della Divina Commedia.
In un momento difficile per il nostro Paese, il Museo di Sant’Eustorgio si unisce al ricordo del poeta simbolo della cultura italiana e celebra – seppur a distanza – questa ricorrenza condividendola con il suo pubblico.
Il Museo di Sant’Eustorgio è infatti curiosamente legato alla figura di Dante e Elena Maria Menotti, direttore del museo, ha colto l’occasione per raccontarci cosa lega la Cappella Portinari al poeta fiorentino:
“Tutti conoscono la Basilica di Sant’Eustorgio per l’arca dei Magi e per la stella che svetta sul campanile e il 6 di gennaio il corteo dei Magi, partito da piazza del Duomo, giunge qui al termine del suo percorso.
Ma vi è un’altra data che si collega a Sant’Eustorgio e al suo Museo: è il 25 marzo, il Dantedì.
Dovete sapere che uno dei monumenti più belli del Rinascimento lombardo si trova qui ed è la Cappella Portinari.
Un elegante vano cubico coperto da una cupola ombrelliforme su pennacchi emisferici e tamburo sorto dietro la zona absidale della basilica, sull’area già occupata da una precedente cappella finanziata da Paolino Brivio, definito come complesso autonomo seppure collegato al corpo della chiesa dall’ambiente cruciforme della sagrestia. L’edificio assolveva anzitutto alla funzione di luogo di conservazione e valorizzazione della venerata reliquia della testa di san Pietro martire.
Dal punto di vista strutturale, l’architettura della cappella appare come una delle testimonianze d’esordio del linguaggio rinascimentale in Lombardia. L’edificio si propone come una diretta ripresa dello schema costruttivo della brunelleschiana Sagrestia vecchia di S. Lorenzo a Firenze. Tra le ipotesi più recenti si fa strada quella di una produzione di Guiniforte Solari, che fu presumibilmente affiancato da un consulente alla decorazione, forse il fiorentino Filarete.
Il nitido parallelepipedo esterno, sostenuto agli angoli da potenti contrafforti con terminazione a edicola sormontate in origine da guglie a cono, sostiene un solido tiburio poligonale a sedici lati che scherma la cupola, in linea con la più schietta tradizione lombarda. All’interno della cappella la dipendenza dal modello fiorentino di S. Lorenzo è ancora più evidente; la costruzione milanese è tuttavia maggiormente sviluppata in verticale e, soprattutto, qualificata dalla articolata decorazione plastica e pittorica, con una accentuata policromia del tutto originale rispetto al modello toscano. Il vasto ciclo a fresco diretto dal bresciano Vincenzo Foppa, dedicato ai fatti della vita di san Pietro martire e a episodi mariani, costituisce senza dubbio l’evento guida del rinnovamento della cultura figurativa lombarda in chiave rinascimentale; esso parla apertamente dell’aggiornamento del pittore in senso toscano e specificamente prospettico, portando contestualmente a piena maturazione la sua poetica scelta di adesione alla realtà, luministica e atmosferica, delle cose e della natura e la sua sincera partecipazione alla verità dei sentimenti dell’uomo. Gli episodi dedicati a san Pietro martire venivano così a sottolineare, ampliandolo, il programma agiografico contenuto in un’opera scultorea già presente in S. Eustorgio, la straordinaria arca marmorea del martire domenicano, capolavoro trecentesco di Giovanni di Balduccio da Pisa, che nel Settecento sarebbe stato posto proprio al centro della cappella di Pigello Portinari.
Il sistema decorativo della Cappella fu progettato unitariamente all’architettura.
Il Filarete come il Foppa era strettamente legato ai banchieri Portinari e quindi a Pigello, il mecenate della cappella.
Ma chi era Pigello? Pigello Portinari era un personaggio importante della Milano sforzesca, ‘Civis Florentiae et Mercator Mediolani’, come è citato nei documenti, nato a Firenze nel 1421, da una famiglia di mercanti che annoverava fra i suoi capostipiti più illustri Folco Portinari. Iniziò la sua carriera a Firenze per poi essere mandato a Venezia fino a giungere poi nel 1452 a Milano per aprire la nuova filiale del Banco Mediceo voluta da Francesco Sforza, sita in via dei Bossi.
Ma non fu solo un banchiere esperto di bilanci, Pigello fu esperto anche di opere d’arte, tessuti, gioielli e manoscritti, tanto che sia i Medici che gli Sforza lo consultavano per valutare oggetti e reclutare i migliori artisti per le loro corti.
A Milano resta di Pigello anche una villa allora suburbana, Villa Mirabello, ideale per il suo svago e le battute di caccia.
Questa straordinaria figura, che ben s’inquadra nella figura dell’uomo rinascimentale, aveva fra i suoi antenati, come abbiamo detto, quel Folco Portinari, figura importante nella Firenze medievale, padre di Bice Portinari ovverosia la Beatrice di Dante.
Che Bice Portinari sia la Beatrice di Dante ce lo dice il Boccaccio, mentre Dante stesso, nella Vita Nova, racconta di averla conosciuta, vestita di rosso, una prima volta quando entrambi avevano nove anni e di averla poi rivista a diciotto anni, vestita di bianco, incontro dal quale era nato il suo amore per lei. Beatrice morì giovanissima a 24 anni.
Nella Divina Commedia dantesca Beatrice sarà colei che subentrando a Virgilio accompagna Dante nel percorso del Paradiso fino a giungere alla Candida Rosa.
Ma il Paradiso non è solo quello dantesco ma è anche quello della Cappella Portinari: le sue decorazioni pittoriche con episodi di facile e immediata lettura, che hanno il chiaro intento di essere didattici e di insegnare con semplicità al popolo le virtù di san Pietro Martire, hanno la funzione di spingere all’imitazione per una vita luminosa e degna del Paradiso.
Sull’arcone d’ingresso al presbiterio si trova l’Annunciazione, mentre opposta vi è l’Assunzione della Vergine. Sulle pareti si stagliano invece quattro episodi della vita di Pietro da Verona: il santo predica in piazza invocando una nube per riparare il popolo; con l’ostia smaschera il demonio sotto le sembianze della Vergine (Miracolo della falsa Madonna); il miracolo del piede risanato; il martirio di San Pietro.
Sul tamburo è modellata una danza angelica ad altorilievo in terracotta, composta da venti figure effigiate frontalmente, di tre quarti e di profilo, che è allusiva alla raffigurazione del Paradiso.
Negli spicchi della cupola sono dipinte scaglie policrome, colorate a fasce concentriche, secondo una scala cromatica simbolica, allusiva all’irradiarsi della luce divina. Nelle otto oculi chiusi della cupola, alternati alle otto finestre, sono rappresentati altrettanti busti di santi senza nomi che sono stati identificati con gli Apostoli; nei pennacchi i quattro dottori della Chiesa: san Gregorio Magno, san Girolamo, sant’Ambrogio e sant’Agostino.
La progressione delle immagini è riconducibile alla diffusione della luce divina che dal Paradiso, sede degli angeli, arriva all’uomo, in questo caso il defunto Pigello, tramite la Buona Novella della Chiesa (gli apostoli e i dottori) e la mediazione di Maria e dei santi, in particolare san Pietro martire.
A ben vedere, quindi, visitando la Cappella Portinari in Sant’Eustorgio non solo ammiriamo il capolavoro dovuto alla munificenza di quel discendente della famiglia di Beatrice ma anche noi, come Dante, tramite un membro della famiglia Portinari, possiamo giungere a vedere la luce del Paradiso!”
Elena Maria Menotti
direttore del Museo di Sant’Eustorgio
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