Natività della Vergine
La festività odierna celebra il dogma della Chiesa cattolica secondo cui la Vergine Maria è stata concepita ed è nata senza peccato originale.
Questa dottrina è stata definita come da Papa Pio IX l’8 dicembre del 1854 con la bolla Ineffabilis Deus e da allora in questa data si celebra ogni anno la solennità dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria.
Maria è raffigurata in diverse opere all’interno della Basilica e della Cappella Portinari, ma la troviamo anche nel Museo di Sant’Eustorgio, nella tela di Carlo Francesco Nuvolone “Natività della Vergine”.
La rappresentazione della natività di Maria e dell’immediato lavacro (gesto naturale, ma che naturalmente assume una sfumatura simbolica di purificazione e di preconizzazione del battesimo) risponde ad una tipologia diffusissima in Lombardia e codificata, a inizio Seicento, dal Morazzone con la tela in Sant’Agostino a Como (Stoppa, 2003): in alto e in secondo piano Anna sul letto del parto, assistita da ancelle che allontanano le bende dell’afflizione, e affiancata dal marito Gioacchino; in primo piano in basso tre ancelle che mostrano la bambina e preparano il bacile e la brocca.
Questo dipinto è strettamente imparentato con due versioni quasi identiche, una di Gerolamo Leva nella chiesa milanese di Santa Maria del Paradiso, una di anonimo nuvoloniano non lontano dal giovane Filippo Abbiati nella parrocchiale dei Santi Carlo e Luigi a Ponte Vecchio di Magenta; ma se ne distingue per la qualità pittorica più elevata, che la identifica come paradigma. La caratteristica impaginazione, la predilezione per i profili, l’ombreggiatura espressiva dei volti sono tutti elementi che rimandano a Carlo Francesco Nuvolone.
La paletta eustorgiana, seppure opera importante come ribadiscono le derivazioni, è però priva di indicazioni di provenienza e anche il formato lascia intuire una destinazione devozionale o l’inserimento in un più vasto ciclo mariano.
La conferma di quanto scritto ci viene dagli inventari della collezione Marone. Assente nel testamento del 1663 il quadro è identificabile con la “Natività della Madona copia del Panfilo con sua cornice tutta adorata” della Acceptatio del 1666: in effetti alcune discontinuità formali del dipinto fanno credere possibile trattarsi di una variazione, almeno parzialmente autografa, su di un originale perduto.
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